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Ecco la terza puntata del nostro giallo web sulla pallanuoto

  Pubblicato il 09 Gen 2117  01:37
LA PRIMA PUNTATA
 
LA SECONDA PUNTATA
 
TERZA PUNTATA
"Lascia stare Siria o ti ammazzo!". Si, anche Gori era convinto che doveva essere stato uno scherzo. Poichè, però, nonostante tutti i suoi difetti era un investigatore scrupoloso, decise di non tralasciare nulla. E telefonò in Canada, dove viveva Gabriella Lamartora, sorella ed unica parente dell'intestatario della scheda con la quale era stato mandato il messaggio a Jonathan Salvini.
Dalla donna l'investigatore venne a sapere che Michele Lamartora era stato ricoverato d'urgenza in ospedale il giorno prima del decesso. Si era sentito male nel pomeriggio, un infarto, e aveva chiamato il 118. "Ho preso il primo aereo disponibile - disse Gabriella Lamartora -, ma purtroppo non sono arrivata in tempo. Si, certo, Michele aveva un telefono cellulare. L'ho trovato nel suo appartamento, ma senza scheda. Certo che ne sono sicura! No, non ho la più pallida idea di chi possa averla presa. E posso escludere che la scheda si trovasse da qualche altra parte in casa: dopo il funerale, prima di tornare qui in Canada, ho pulito e riordinato l'appartamento da cima a fondo. Non che mio fratello fosse uno che sporcava, per carità, ma a me piace fare le cose per bene".
Poi Gori telefonò alla sede della Rari Nantes Pescara, la squadra di Jonathan Salvini.  Voleva parlare con l'allenatore, ma la risposta alla sua domanda fu esattamente quella che si aspettava: "Mi spiace, non possiamo dare il numero di telefono dei nostri tesserati senza la loro autorizzazione". Ma fu fortunato: "Aspetti - aggiunse la segretaria -: è arrivato proprio in questo momento. Glielo passo".
Carlo D'Amore allenava la Rari Nantes Pescara da oltre un decennio. Sotto la sua guida la squadra aveva vissuto alti (la promozione in A1 quattro anni prima) e bassi: una salvezza sofferta in A2 proprio nella stagione precedente. Ma adesso, nonostante la perdita di Salvini, la squadra stava andando a gonfie vele ed era candidata a tornare nella massima serie.
Quando Carlo D’Amore gli aprì la porta del suo appartamento in via Teramo, dopo avergli fissato l'appuntamento per telefono, Gori fu colpito dai suoi incredibili occhi azzurri e dallo sguardo magnetico, penetrante. “A questo qui non occorrono le maniere forti per farsi obbedire dai suoi giocatori. Basta semplicemente un’occhiata”, pensò l’investigatore mentre si accomodò sulla poltrona che D’Amore gli aveva offerto. Dalla sua voce aveva ascoltato finora soltanto la frase “Prego, si accomodi”, ma già aveva inserito l’allenatore della Rari Nantes Pescara nella colonna a sinistra della sua lavagna di gradimento, quella con la scritta “Mi piacciono”. Lista molto meno lunga rispetto a quella di destra: erano innumerevoli le persone che, se avesse potuto, Gori avrebbe cancellato non solo dalla lavagna, ma dalla faccia della terra. O, perlomeno, dalla città di Pescara.
"Mi scusi, non posso offrirle molto. Ho in casa solo della birra". Rimasto vedovo tre anni prima, D'Amore viveva da solo in un appartamento che ormai era troppo grande per lui: cinque vani, doppi servizi e un bel terrazzo con un'infinità di piante, tutte ben curate. "Da quando mia moglie non c'è più, me ne occupo io. E' la mia seconda passione dopo la pallanuoto", disse a Gori mentre gli porgeva un bicchiere di Heineken ghiacciata. Altezza oltre il metro e ottanta, corporatura robusta, mani forti: era molto probabile che D’Amore da giovane avesse giocato a pallanuoto, ma Gori non era là per conoscere i trascorsi sportivi del tecnico, che aveva i capelli completamente bianchi nonostante un’età che presumibilmente non superava i 60 anni. L’investigatore aveva chiesto quell’incontro soltanto per sapere qualcosa di più sul Jonathan Salvini pallanuotista.
“Era bravo, molto bravo. Non un giocatore costruito, come ce ne sono tanti, ma un talento naturale. Sicuramente sarebbe finito in pianta stabile in nazionale se non lo avessero ammazzato… Si, signor Gori, anch’io sono dell’idea che non può essersi trattato di un incidente. Chi era alla guida di quel camion ha volontariamente scaraventato la macchina nel precipizio”.
“I Salvini le hanno fatto vedere il messaggio che hanno trovato sul computer di Jonathan?”.
“Si, e mi sorprende che gli inquirenti non vi abbiano dato peso. Un ragazzo riceve delle minacce e qualche giorno dopo finisce ammazzato... Soltanto una coincidenza? Sinceramente non lo credo”.
“Nell'entourage della sua squadra c’era all’epoca dei fatti qualcuno che avrebbe potuto mandare a Jonathan quel messaggio?”.
“No, glie l’assicuro. Del resto quella ragazza, Siria, Jonathan l’aveva conosciuta da poche settimane e alle Naiadi io l’ho vista soltanto una volta, quando ha accompagnato un collega di Canale 12 a fare delle interviste alla squadra. In altre parole, non credo che nessuno degli altri giocatori – benché la ragazza fosse davvero notevole – abbia avuto il tempo e il modo di invaghirsene a tal punto da minacciare di morte Jonathan”.
“Qualcuno di loro potrebbe averla  conosciuta prima di Jonathan e…”.
“Ma no, in piscina l‘avremmo vista. Una ragazza come quella si nota subito. Sa, alle nostre partite non è che venga molta gente, al massimo un paio di centinaia di persone. Ma in ogni caso quel che è successo è opera di un matto, e le posso assicurare che tutti i miei giocatori hanno la testa a posto”.
E arrivò dall’allenatore la domanda che anche Gori si era fatto più volte dopo aver ricevuto l’incarico: “Ma lei è sicuro che chi ha scaraventato la Renault nel burrone volesse ammazzare proprio Jonathan?”.
 
***

Di sicuro, per il momento, c’era soltanto questo:
1. Qualcuno, volontariamente oppure no, aveva ammazzato quattro persone con un camion.
2. Nessuna delle vittime aveva precedenti penali. Nessuno di essi (Gori lo aveva accertato) era stato coinvolto in accadimenti particolari che avrebbero potuto indurre qualcuno ad ammazzarlo per vendetta.
3. Jonathan Salvini, prima di perdere la vita, aveva ricevuto minacce di morte.
Era su questo terzo punto che l’investigatore avrebbe lavorato prima di prendere in considerazione l’ipotesi che l’assassino - se di omicidio si trattava - non voleva colpire Jonathan ma una delle altre tre vittime.
In ogni caso il colloquio con l’allenatore non aveva scalfito la sua convinzione che si era trattato di un semplice incidente, e dunque di omicidio colposo. Anche perché, in caso contrario, Gori avrebbe dovuto prendere in considerazione un’ipotesi che l’investigatore rifiutava categoricamente: se qualcuno aveva ucciso volontariamente, lo aveva fatto con premeditazione. Aveva seguito, cioè, con il camion la Renault fino in Calabria e poi aveva colpito. Doveva essere quindi perfettamente a conoscenza del viaggio e del percorso che i ragazzi avrebbero effettuato per raggiungere Morano Calabro. E, presumibilmente, si era già recato sul posto in precedenza per scegliere il punto della statale dove avrebbe colpito. “No, non è possibile…”. Gori si rifiutava di credere che potesse esserci un individuo così freddo e senza scrupoli da architettare un piano del genere, che per giunta contemplava il sacrificio di altre tre persone oltre a quella che lui voleva togliere di mezzo. “No, deve trattarsi per forza di un incidente”, pensò mentre bussava al campanello del "Ress", il centro estetico dove lavorava Barbara Lodi, la donna che aveva diviso l'appartamento con Siria Tozzi. Erano da poco trascorse le 14.
"Posso esserle utile?, disse la rossa esplosiva che aprì la porta del negozio. Fece su Gori l'effetto di un "Long Island" preso a stomaco vuoto: vodka, gin, rum bianco, tequila e triple sec tutti in un unico cocktail. Gori assorbì in fretta il colpo e, dopo i preamboli, disse alla rossa: "Non le dispiace se ne parliamo con calma a pranzo?".
Barbara Lodi rispose affermativamente, e per i seguenti motivi in ordine d'importanza: 1) Aveva una fame da lupo; 2) non aveva mai subito un interrogatorio e la cosa l'affascinava; 3) quel tizio con i capelli brizzolati e dai modi gentili le era piaciuto non appena gli aveva aperto la porta.
"Sa, noi durante lo spacco ci riuniamo all'interno del negozio e ci facciamo un panino e quattro chiacchiere in attesa della riapertura", disse dopo aver terminato un antipasto di mare con la stessa velocità con la quale Usain Bolt divorava i 100 piani.
Gori l'aveva portata da "Renzo", uno dei migliori ristoranti sul lungomare di Pescara con le seguenti intenzioni, in ordine inverso d'importanza: 1) riempire il buco che aveva nello stomaco; 2) sapere il più possibile sul conto di Siria Tozzi; 3) togliere entro la fine della giornata a Barbara la maglietta rosa più provocante che avesse mai visto e quel jeans che chiedeva disperatamente aiuto perchè non riusciva a contenere le generose rotondità della ragazza.
L'intenzione n. 3 andò felicemente in porto quella stessa sera alle 20,45. Dopo aver concluso la giornata di lavoro, Barbara aveva preso sottobraccio l'investigatore, lo aveva condotto a casa sua e gli aveva consentito, al terzo piano del civico 35 di via dei Pretuzi, non lontano dallo Stadio Adriatico, di unire in maniera perfetta l'utile (conoscere l'appartamento dove aveva vissuto Siria Tozzi) e il dilettevole: eseguire un'ispezione particolarmente accurata sui morbidi 170 centimetri che la ragazza gli mise a disposizione.
L'intenzione n. 2 di Gori, che aveva avuto un preambolo durante il pranzo, proseguì al termine dell'ispezione intorno alle 23,15. Ovviamente il colloquio era passato dal lei al tu: "Mi stavi dicendo di questo Davide...".
"Non mi piaceva, quel ragazzo. Intendiamoci bene, fisicamente era il top, figuriamoci se Siria se lo faceva sfuggire. Alto quasi un metro e novanta, bruno, palestrato...  Ma  era troppo chiuso, andava per monosillabi, e soprattutto era troppo oppressivo per i gusti di Siria. "Non gli do più di cinque giorni", mi dissi dopo che me lo presentò a una festa, e sbagliai di poco. Dopo una settimana Siria l'aveva già sostituito con Jonathan, che non era bello come Giacomo ma ti metteva allegria non appena lo guardavi".
Gori non riuscì a sapere da Barbara il cognome di Davide: non lo ricordava e non sapeva neppure come poterlo aiutare a scoprirlo. Gli spiegò, invece, perchè il centro estetico dove lavorava si chiamava in quel modo curioso, Ress. "Sono le iniziali di Roberta Esposito e Sandra Sormani, le proprietarie del negozio, le mie datrici di lavoro. Prima o poi andrò via... mi trovo bene, mi trattano come una sorella, ma voglio un negozio tutto mio. Sto mettendo i soldi da parte e nel giro di due o tre anni... Certo, se trovassi un socio potrei farcela prima. Ti può interessare?".
Per tutta risposta l'investigatore la bacio sulla bocca e interruppe così, sin dal nascere, un argomento che poteva diventare pericoloso. Gori non voleva essere socio di nessuno, soprattutto in amore. La ragazza, che non era scema, lo aveva capito subito e assicurò: "Non devi preoccuparti. Anch'io sono refrattaria ai legami. Sono stata sposata due volte e non ho alcuna intenzione di ripetere l'errore. Se vorrai venirmi a trovare, sai dove rintracciarmi".
Ma adesso Gori doveva trovare Davide Vattelapesca per sapere se era stato lui a inviare a Jonathan il messaggio. "Lascia stare Siria o ti ammazzo". Il giorno dopo, nel primo pomeriggio, l'investigatore si recò negli studi di Canale 12, l'emittente televisiva di Pescara dove aveva lavorato la ragazza. Forse là c'era qualcuno che poteva aiutarlo a rintracciare quel Davide e, magari, sarebbe riuscito a sapere qualcosa di più interessante anche sul conto di Siria. Da Barbara Lodi, infatti, era riuscito a sapere poco: "Dividevamo l'appartamento, ma non è che fossimo amiche. Ogni tanto scambiavamo qualche chiacchiera, ma niente che riguardasse faccende strettamente personali".
Con quelli di Canale 12, invece, Gori fu più fortunato. "Certo che posso dirle il nome di David! - disse Sauro Marini, il direttore della televisione -: Siria un giorno portò qui quel marcantonio, non appena lo vidi chiamai in disparte la ragazza e le chiesi se potevo fargli un provino. Siria me lo sconsigliò ("Perdi il tuo tempo, quello lì è buono soltanto a letto"), ma volli provarci lo stesso. Aveva ragione, era un perfetto deficiente", aggiunse scuotendo il cranio completamente pelato. A Gori ricordava Telly Savalas, il tenente Kojak della serie televisiva, ma in formato magnum. Marini era talmente grosso da occultare completamente la poltrona del suo ufficio, tappezzato di foto che lo ritraevano con personaggi del mondo dello spettacolo. Ce n'era una particolamente graziosa con Andy Luotto: "Grande personaggio, grande amico. Ma lo sa che Andy è anche un grande cuoco?", disse Marini mentre indicava con orgoglio la foto alle sue spalle che ritraeva Luotto e Marini con un cappello da chef.
Gori lo sapeva. Appassionato di film e sceneggiati gialli (era l'unica cosa che guardava in tv, oltre al telegiornale), aveva apprezzato Luotto nei panni di Fritz Brenner, il cuoco personale di Nero Wolf, nel remake della fortunatissima serie televisiva di fine anni sessanta con Buazzelli e Ferrari. Anche la seconda edizione, andata in onda nel 2012, gli era piaciuta e malediceva la Rai che non le aveva dato seguito nonostante un buon successo di ascolto.
"Ma torniamo a Davide. Devo avere ancora qui - io non butto mai nulla - la scheda che abbiamo compilato insieme durante il provino...". E con velocità sorprendente per la sua mole Marini balzò dalla poltrona e andò a trafficare in un contenitore alle sue spalle. "Dunque, vediamo un po'... vediamo un po'... Eccolo! Davide Giannattasio, 22 anni, abitante in via Milano 42".
Era lo stesso indirizzo di Gabriele Lamartora, l'intestatario della scheda telefonica dalla quale era partita la minaccia di morte nei confronti di Jonathan.
Mario Corcione
 
FINE TERZA PUNTATA
(la quarta puntata sarà pubblicata lunedì 16 gennaio)

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